Odyssey è proprio quella cosa che mancava a Elite Dangerous

That's one small step for (a) man, one giant leap for mankind.

That's one small step for (a) man, one giant leap for mankind.

Per chi, come me, si è fatto la gioventù a navigare tra le stelle di Elite e Frontier, Elite Dangerous Odyssey è un sogno che si avvera. Il paragone è un po’ quello (anche fisico) con il primo passo sulla Luna del buon Neil Armstrong, perché ok le basi orbitanti, ok quelle sui pianeti (già presenti in Frontier, peraltro, e si parla del 1993), e ok pure gli SRV a sei ruote per gironzolare sulla superficie, ma il gusto di muoversi a piedi all’interno di spazioporti e di basi abbandonate è un fatto completamente diverso. È l’immersione, baby. È il percepire fisicamente il proprio alter ego e vedere facce e corpi altrui, finora costretti dentro la gabbia di un ologramma o poco altro. È la sensazione, nuova e potente, di esserci per davvero. In questo, la prima fase Alpha di accesso a Elite Dangerous Odyssey ha già calato l’asso di briscola, nonostante i numerosi problemi tecnici, server non sempre stabilissimi, il movimento limitato a un solo sistema (seppur zeppo di pianeti e cose da fare) e l’impossibilità momentanea di muoversi con l’astronave di proprietà, ma sfruttando un ingegnoso sistema di noleggio taxi. D’altronde Alpha è e Alpha resta, e quindi – se serve – va benissimo chiudere anche entrambi gli occhi di fronte a qualche magagnetta, pur di godere del resto.

CITTADINI DELLO SPAZIO, MA PER DAVVERO

Il paragone con Star Citizen, su cui tanti anni fa avevo puntato le mie prime fiches, è inevitabile e, se vogliamo, un po’ scomodo per entrambi. È chiaro che il progetto di Chris Roberts era (ed è tuttora) figlio di un’aspirazione altissima, peraltro conseguente alla folle campagna di crowdfunding che ha avuto da un lato il merito di fornire agli sviluppatori tutte le risorse di cui avevano bisogno, ma dall’altro di aver gonfiato a dismisura la pancia. Lo stallo di Star Citizen sta tutto nell’ingordigia improvvisa e nel fatto che, dopo tutti questi anni, ancora non siamo arrivati a vedere una digestione completa della pietanza.

La prima fase Alpha di Odyssey ha già calato l’asso di briscola

Elite Dangerous, invece, ha avuto il pregio di affrontare le cose con un approccio più metodico, mattone dopo mattone, nonostante l’idea di partenza fosse la stessa, ovvero capire cosa proporre in uno space-sim partendo da una campagna di raccolta fondi su Kickstarter. Ricordo come fosse oggi il momento in cui ho messo le mie manacce unte su una versione preliminare del gioco, in uno dei numerosi E3 cui ho avuto la fortuna di partecipare quando ancora il giornalismo era una faccenda che consentiva di portare a casa la pagnotta. In quel momento mi sono sentito come Anton Ego quando assaggia per la prima volta la ratatouille del celebre topo chef Remy: è stato come tornare indietro nel tempo e sentirsi a casa, accolti e coccolati dalla mamma con un piatto caldo, dopo essere caduti rovinosamente dalla bicicletta.

Apex non è un battle royale, bensì il nome dell’agenzia di taxi che ci porta in giro. Rassicurante, direi.

È un po’ qui che, almeno fino a oggi, Braben sta vincendo la partita con Roberts. Elite Dangerous è nato come un semplice reboot di Elite/Frontier e si è trasformato man mano, senza mai fare il passo più lungo della gamba. Certo, Odyssey mette sul piatto una pietanza totalmente nuova, completamente fuori dalle corde della serie: una cosa è aggiungere un rover per gironzolare sulla superficie di un pianeta, un’altra è strutturare un ecosistema che si regga sulla possibilità di muoversi a piedi, interagire con altri personaggi e – financo – tirare fuori delle armi e sparare all’occorrenza. Un rischio calcolato che, a giudicare da qualche ora passata sull’Alpha, mi sembra sia stato corso anche stavolta mantenendo la filosofia finora vincente del “introduciamo una cosa sola, ma fatta a modino”.

PER ASPERA AD ASTRA

Per noi figli delle stelle, cresciuti a pane ed Elite, avere a che fare con armi da impugnare e missioni da compiere all’interno di basi inesplorate è un concetto non immediatamente assimilabile. L’Alpha di Odyssey ti getta un po’ lì nella mischia senza dirti granché. Lo spazioporto che ci accoglie è ricco di personaggi con cui parlare della qualunque, mentre missioni e opportunità si sprecano, anche se limitatamente a un solo sistema stellare. Una volta compreso il giro del fumo, tuttavia, l’esperienza con la futura espansione di Elite Dangerous si trasforma in una sperimentazione continua.

In certe missioni c’è quell’atmosfera à la Alien da sgomma nelle mutande.

La prima nozione da mettere in saccoccia è che stiamo pur sempre parlando di Elite, quindi di un titolo non approcciabile come se stessimo giocando a Everspace o a Destiny. A ricordarmelo è stata la prima missione “fucile in mano” (a proposito… il design delle armi è qualcosa di strepitoso e che, a tratti, mi ha ricordato Mass Effect), laddove un approccio un filo troppo arrogante mi ha costretto alla resa nel giro di pochissimo. La filosofia, d’altronde, è la stessa di tutto il resto del gioco: bisogna progredire con calma, passo dopo passo, senza strafare e accettando missioni all’interno del nostro raggio di possibilità. Una cosa davvero fichissima è la gravità che cambia da pianeta in pianeta, un fattore che incide sui movimenti e sui salti, al pari della temperatura esterna che rende le missioni sui pianeti inospitali un problema in più, da affrontare con tutte le cautele del caso.

Odyssey mette sul piatto una pietanza totalmente nuova

Il pensare che tutto ciò, entro la fine dell’anno, sarà applicato all’intero universo di Elite Dangerous mi fa esplodere la testa, ancor più se ripenso alle parole dette poco sopra a proposito di Star Citizen. Elite Dangerous Odyssey, già da questa fase Alpha, fa un balzo in avanti deciso nel colmare il gap con il titolo concorrente, e lo compie senza strafare. Questo, sia chiaro, nella consapevolezza che Star Citizen resta un prodotto valido e in continua evoluzione, certamente più ricco nella tipologia di contenuti, seppur meno stabile e più modesto nelle dimensioni.

Whisky doppio malto con vista sullo spazioporto. Cosa volere di più?

A voler ben guardare, la via intrapresa dai due titoli è la stessa, solo declinata in modo diametralmente opposto. Entrambi vogliono arrivare al traguardo proponendoci un universo credibile, zeppo di attività e di possibilità come mai nessun altro space-sim è mai riuscito prima di oggi: Elite Dangerous percorre la strada costruendo, stabilizzando e capitalizzando un pezzetto alla volta, mentre Star Citizen sta tentando la più perigliosa via del all-in. Comunque ci si arrivi, si prospettano grandi anni di esplorazione e divertimento per noi appassionati del genere, non trovate?

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