Gioco mobile per padri immobili

Del come cambiano le abitudini videoludiche quando la casa si affolla di nani urlanti.

Del come cambiano le abitudini videoludiche quando la casa si affolla di nani urlanti.

Se mi avessero detto, qualche anno fa, che mentre il resto del mondo cercava di incastrare nei propri salotti televisori grandi come lavagne io mi sarei impegnato a sfruttare piccoli schermi per le mie risicate sessioni di gioco, mi sarei fatto una grassissima risata. E invece. Il mistero dietro questa mossa disperata è la mia paternità, rinnovata per la seconda volta pochi giorni fa: con un nano di poco più di due anni in piena fase distruttiva, una gnoma lunga mezzo metro che ancora non ha capito di essere uscita dalla pancia della mamma, riposini, pappine e lavoro da incastrare con tutto il resto, la scrivania con sopra parcheggiato il mio fidato PC compagno di giochi è diventato ormai un miraggio. Il mio cavallo di battaglia sarebbe stata, in realtà, la quarta incarnazione della console di casa Sony, leggermente impolverata e attaccata da mesi a un triste proiettore in camera da letto, il cui attuale scopo è essere un surrogato di cinema per godere con la famiglia delle meraviglie offerte da Netflix, Amazon Prime e Disney+.

No, davvero, lasciate perdere.

Ci ho provato, davvero, a giocare attaccato a un proiettore. Era sempre stato il mio sogno proibito. Almeno prima di rendermi conto che no, non si vede un’emerita mazza. In realtà quei rari titoli senza HUD e senza scritte varie sono una meraviglia per gli occhi, e vivere l’esperienza di Journey o Shadow of the Colossus con un’intera parete trasformata in schermo è commovente.

Bello, giocare con un proiettore a tutta parete. Peccato che non si veda un’emerita mazza.

Basta però un singolo sottotitolo, o ancora peggio qualche testo incastrato in un angolo, per farci sentire come Mister Magoo. Sì, lo so che esistono dispositivi migliori della mia cinesata, ma tanto il discorso non cambia: anche utilizzando un paio di auricolari, sparare immagini coloratissime, magari ricche di esplosioni e pezzi di corpo umano volanti, in piena notte nella stessa stanza dove dormono moglie e figli non è propriamente l’idea del secolo. E così, laddove l’unica consolazione erano diventate le console portatili, sempre pronte a tenerti compagnia anche in un angoletto del lettone condiviso, la risposta al mio enorme dilemma sono state proprio loro. Le console portatili. Più o meno.

PS Vita, gioie e dolori del gaming portatile!

Escludendo Nintendo Switch, tristemente diventata la mia piattaforma di gioco principale nell’ultimo anno, sul mio comodino sono comparsi due dispositivi decisamente insoliti: il primo è un controller bluetooth per Android che, scimmiottando la console nipponica, si apre per accogliere il telefono cellulare tra le due parti del pad; il secondo è invece l’incarnazione del concetto di “accanimento terapeutico”, cioè una PS Vita acquistata usata per pochi spicci un paio di annetti fa. Ed è proprio da quest’ultima che ho riscoperto le gioie di una PlayStation.

Una PS Vita comprata per pochi spicci due anni fa: l’incarnazione videoludica del concetto di accanimento terapeutico

Ammetto di aver comprato la console portatile targata Sony quasi esclusivamente per gioire del Remote Play, in un momento in cui i dispositivi Android non erano contemplati. Collegando la piccola Vita direttamente al Wi-Fi della PlayStation 4, giusto per evitare di litigare con il router, la magia avviene senza troppi grattacapi, per poi però scoprire due orribili verità. La prima, semplicemente, è che il Wi-Fi della PS4 fa cagare. A meno di due metri di distanza i due dispositivi fanno comunque fatica a dialogare senza intoppi, e beccarsi qualche “laggata” di troppo contribuisce a una scomunica precoce. La seconda, forse ben peggiore, è che qualsiasi titolo che prevede un uso massivo dei grilletti anteriori risulta, semplicemente, ingiocabile. Sì, la console portatile ha dei tasti in meno del previsto. Sì, dovremmo in teoria massacrare il touchpad anteriore o posteriore. No, non abbiamo abbastanza dita per farlo. Ho acquistato, per dovere di cronaca, una specie di sofisticato marchingegno costruito con leve e pulegge per aggiungere un paio di grilletti posteriori, che va incollato con scotch biadesivo, ma non sono mai riuscito a sfruttarlo a dovere. Certo, dovrei puntare su una cover più decente, ma poi che gusto ci sarebbe? Eppure, scegliendo attentamente i titoli da giocare, la piccola Vita può riservare grandi gioie: il remake di Final Fantasy VII, comparso da poco sul PS Plus, giusto per fare un esempio, non richiede un uso massivo dei dorsali, e fa la sua porchissima figura sul piccolo schermo. Con estrema felicità di papà, che può giocare, e dei bimbi che possono dormire.

Con una discreta dose di pazienza, ogni titolo è potenzialmente godibile

Il vero protagonista delle mie notti insonni, però, è il controller bluetooth cinesone. Un iPega PG-9087, per la precisione. La prima gioia è rendere più godibili gran parte dei titoli scaricabili dal Play Store, escludendo quelli esclusivamente touch. E già non è roba da poco, data la quantità di titoli molto validi giocabili nativamente su Android. È però utilizzando Steam Link, o in alternativa Moonlight per i possessori di schede video nVidia, per godere della propria libreria di videogiochi su PC col sedere comodamente poggiato sul lettone. Con una discreta dose di pazienza, e grazie alla possibilità di poter impostare a piacere i comandi, potenzialmente ogni titolo è pienamente godibile, a patto di perdere qualche diottria.

Come spesso accade, una volta riuscito nell’intento di impostare il tutto correttamente e di poter potenzialmente sfruttare i pochi minuti liberi per videogiocare a qualcosa, finisce con il ditino che scorre la dannata bacheca di Facebook fino a che il sonno non prende il sopravvento. Così, da bravo vecchio, mi lamento ad alta voce aspettando di potermi risedere al PC qualche oretta. Cosa che, con un pizzico di fortuna, accadrà tra una manciata di anni.

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