La Storia oltre Call of Duty

È possibile intravedere nei videogiochi un linguaggio moderno con cui insegnare la Storia alle nuove generazioni?

È possibile intravedere nei videogiochi un linguaggio moderno con cui insegnare la Storia alle nuove generazioni?

Mia nonna ha 95 anni e ha vissuto in piena faccia la Seconda Guerra Mondiale. Me ne racconta in ogni momento, come se il narrare pervicacemente quei momenti servisse a stemperarne il dolore, nonostante di acqua sotto i ponti ne sia passata ormai parecchia. Il suo essere mezza tedesca e mezza italiana l’ha messa in una posizione scomoda, quando le truppe di Hitler hanno cominciato il ritiro per via dell’intervento degli Alleati. I crucchi la cercavano per fucilarla, e lo stesso facevano gli italiani. Una volta si nascose in un silos, ma fu trovata contemporaneamente dai soldati italiani e da quelli tedeschi, che facevano a gara per decidere chi dovesse eseguire la sentenza, prima di riprendere a darsele di santa ragione. Fu solo per l’intervento di un Capitano della Feldgendarmerie (sempre sia lodato!) che mia nonna riuscì a venirne fuori senza un graffio, nonostante le avessero già puntato una pistola di ordinanza alla tempia, mentre stringeva al petto il fagotto che conteneva mio zio. Ogni volta che mi racconta di quei momenti, non posso fare a meno di scorgere tutt’oggi un velo di paura dietro quegli occhi azzurri che si porta dietro da quando è nata in un paesello bavarese; pare quasi un miracolo se oggi sono qui a scrivere queste parole, e non sia invece rimasto nel limbo delle ipotesi tra l’essere e il non esserci stato mai.

Mia nonna ha 95 anni e non ci sente né ci vede quasi più. Per questo motivo, ha smesso di seguire qualsiasi questione riguardante la politica italiana e mondiale, ormai da parecchio tempo. Io me ne guardo bene dall’aggiornarla, perché la vegliarda ha tirato dritto fino a oggi (di testa ci sta ancora che è un piacere) e non sarà certo il sottoscritto a farla morire di crepacuore. Certo, posso solo immaginare quale sarebbe stata la sue reazione alla notizia che tre studentesse in visita ad Auschwitz si siano fatte immortalare facendo il saluto romano, per poi bullarsene sui social. Tra i vari commenti alla notizia, mi è capitato di leggere che “la Storia è notoriamente ciclica, e quindi nulla si può fare in merito”. Di fronte a un pressapochismo così causticamente nichilista la mia prima reazione è stata di amarezza, ma poi la rabbia ha preso il sopravvento e mi sono trovato, quasi senza pensarci, a battere i polpastrelli sulla tastiera e a vergare questo editoriale.

saluto_romano_auschwitz_ragazze

No, amico mio: la Storia è stata notoriamente ciclica perché chi ci ha preceduto non aveva altri strumenti per conoscerla ed evitare di ripeterne gli errori, se non la tradizione orale. Fino a qualche decennio fa la spiegazione avrebbe potuto avere anche un senso, visto l’altissimo grado di analfabetismo diffuso, per lo più causato dal fatto che si poteva studiare poco e male, perché i giovani dovevano sbrigarsi a trovare un lavoro per contribuire a mettere la pagnotta nel piatto di famiglia, e non importava molto altro. Oggi i tratti ricorsivi della Storia sono solo frutto dell’ignoranza come conseguenza della pigrizia e di un lassismo fuori controllo. Io ho la fortuna di avere a tiro una testimonianza orale come quella di mia nonna, ma questo non mi ha impedito di studiare la Storia a scuola (anche se era ben lungi dall’essere la mia materia preferita, sia chiaro) e a ragionare sulle origini e sulle conseguenze di certi atti efferati come quelli che hanno prodotto fascismo e nazismo; avessero fatto lo stesso le tre studentesse di cui sopra, non gli sarebbe mai venuto in mente di scattare quella foto vergognosa.

È evidente come le nuove generazioni (ma anche quelle vecchie), pur avendo gli strumenti per studiare e capire, non abbiano la voglia di sfruttare tutto ciò che oggigiorno hanno a disposizione, e che anche solo venti o trenta anni fa pareva fantascienza. Anzi, le nuove opportunità concesse da internet stanno sortendo l’effetto opposto: la frenesia è di casa e l’informazione che dura più di cinque secondi – e che magari richiederebbe un minimo di approfondimento – è bollata come noiosa e inutile. In questo, la scuola è rimasta ancorata a dettami linguistici fuori tempo e che ormai suonano anacronistici: della Storia insegnata in aula non frega più un cazzo a nessuno, e questo è un dato di fatto incontrovertibile, cui si dovrebbe porre rimedio quanto prima.

Della storia insegnata in aula non frega più un cazzo a nessuno, e questo è un dato di fatto incontrovertibile

I videogiochi, in questo scenario, potrebbero rivestire un ruolo importante, se solo si avesse la voglia e il coraggio di investirci sopra con del senso, e non con meri scopi propagandistici come nel caso di quella porcheria tonante che è stata Gioventù Ribelle, summa suprema del know how don’t. I videogiochi sono un linguaggio conosciuto e accettato dalle nuove generazioni, nonché facilmente decifrabile se ci fosse la volontà di produrre qualcosa che non sia il classico e roboante blockbuster à la Call of Duty. Penso, ad esempio, al virtuoso approccio di The Town of Light e a come sarebbe interessante applicare il medesimo schema costruendo un videogioco ambientato ad Auschwitz e che mostri, seppur addolcito da una cornice narrativa, gli orrori dei campi di concentramento nazisti. Il Discovery Tour di Assassin’s Creed è un altro esempio di come sia possibile trasformare un prodotto di intrattenimento in uno strumento informativo, anche se con chiavi di lettura diversi dal titolo di LKA. Mosche bianche in un mondo dal cuore nero.

the town of light

Vorrei una scuola che insegni la Storia così, con un’ora alla settimana in cui i ragazzi videogiochino con qualcosa che lasci loro un substrato di nozioni che dia loro modo di pensare e di scoprire come gli errori compiuti dall’uomo non siano necessariamente ripetibili ad libitum, come qualcuno preso da disfattismo becero vorrebbe farci credere. Il problema è che il mondo dell’istruzione – specie qui in Italia – non riesce a scrollarsi di dosso le ragnatele: in alcuni istituti si insegna ancora stenografia, e d’altronde nel nostro Senato c’è chi è pagato fior di quattrini per utilizzare il Metodo Michela (un macchinario inventato nel 1862, eh) e redarre resoconti stenografici, quando la tecnologia permetterebbe metodologie di archiviazione ben più snelle ed economiche. Purtroppo, sono abbastanza rassegnato al fatto che prima che ciò accada ci saremo estinti malamente, vuoi per qualche pazzo furioso che scatenerà un nuovo conflitto su larga scala, vuoi per la spirale autodistruttiva in cui ci siamo infilati quando abbiamo cominciato a inquinare male il pianeta, sciacquandoci corposamente i testicoli delle generazioni future.

Mia nonna ha 95 anni e, bene che le vada, durerà ancora qualche anno. Una volta che se ne sarà andata, io non avrò più nessuna fonte orale che mi ricordi delle bassezze di cui è capace l’uomo. Se oggi posso guardare agli eventi odierni con un minimo di abilità critica lo devo a lei, mio primo strumento e guida, che mi ha donato la capacità di provare profondo rispetto per la libertà di cui godiamo. I miei figli sono fortunati, perché hanno potuto attingere anche loro dalla stessa fonte; la stragrande maggioranza dei giovani, invece, non ha altro che la scuola o gli insegnamenti di genitori noiosi e – per lo più – altrettanto pigri e ignoranti. Ci sarebbe bisogno di iniezioni di conoscenza attraverso un linguaggio moderno, e non posso pensare a qualcosa di meglio dei videogiochi per donare un minimo di coscienza storica a chi, purtroppo, oggi ne è privo. Sogno troppo?

auschwitz call of duty


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